All'Egetmann è stato dedicato pure un libro: "La sfilata dell'Egetmann a Termeno", da cui è tratto il saggio che segue.
Il tema del matrimonio fornisce abbondante materiale all’elaborazione drammatica della cultura popolare di tutta Europa. Nella ritualità agraria il simbolismo matrimoniale figura in posizione prominente al passaggio delle stagioni. Qui, secondo la classica caratterizzazione fattane dall’antropologo francese Arnold Van Gennep ancora agli inizi del secolo scorso, avviene la convergenza fra ‘i passaggi cosmici’ – e in primo luogo quello fra tutti cruciale dall’inverno alla primavera – ed i ‘passaggi umani’. È a questo secondo livello che viene ad essere mobilitata la gamma dei significanti simbolici tratti dalle istituzioni fondamentali della società umana, la stessa che troviamo coniugata in tutte le combinazioni possibili nelle mascherate invernali dell’intera Europa.1 L’iniziazione dei giovani – il passaggio ovvero di una nuova generazione all’età adulta; la costituzione di un nuovo nucleo famigliare che ne rappresenta la sociologica conseguenza; la nascita, malattia, morte (ed eventuale resurrezione) che di quelle costituiscono lo sviluppo e la conclusione del ciclo, forniscono il materiale di base all’elaborazione drammatica rituale.
In questo quadro, il simbolismo del matrimonio viene letto, e pertanto messo in scena nella rappresentazione rituale, ad almeno due livelli – con un terzo livello sussidiario spesso presente in posizione di rincalzo e complementare, ma proprio per questo sempre molto visibile, all’azione rituale centrale. Da un lato, la costituzione di un nuovo nucleo famigliare è metafora di continuità, riproduzione, abbondanza e fertilità – caratteristiche ed attributi che sono analoghi a quelli dei processi ‘naturali’. E qui si deve intendere, perché è importante nella formulazione poi delle pratiche drammatiche della cultura popolare, tanto la fertilità riproduttiva ‘selvaggia’ e ‘naturale’ della flora, delle messi e della fauna, quanto quella ‘civilizzata’ e dunque strettamente regolata da norme culturali proprie della società umana. In secondo luogo, le implicazioni simboliche del matrimonio afferiscono al passaggio delle generazioni ed al susseguirsi delle classi d’età nel ciclo della vita. Si tratta di una successione che assume spesso il carattere incalzante di un inseguimento e di una pressione che le giovani generazioni esercitano sulle generazioni ascendenti affinché ‘lascino loro il posto’ in un assetto sociale che si vuole simbolicamente rinnovare al passo col rinnovarsi delle stagioni.
A questi due primi livelli delle implicazioni metaforiche del simbolismo del matrimonio ritualizzato si esercita una sorta di pas à deux, di balletto fra ‘natura’ e ‘cultura’. Gli interventi rituali umani sul ciclo naturale tendono ad imporre su di quello l’ordine della cultura. Con le rappresentazioni drammatiche del passaggio dall’inverno alla primavera questa ‘comanda’ a piante ed animali di risvegliarsi e ricominciare la produzione e riproduzione della vita. D’altro canto le stesse regole culturali – e prima fra tutte quella che ordina la produzione e riproduzione del gruppo sociale nell’istituzione del matrimonio – vengono ad essere rappresentate come ‘naturali’ e pertanto necessarie ed immutabili in quanto inserite nel ciclo riproduttivo della natura.
Ci si è spesso domandati a questo proposito in che cosa consista la persistenza di tali forme espressive, a dispetto del pianto funebre dei folcloristi che ne lamentano periodicamente la morte. Oltre alle ragioni contingenti e specifiche che esploreremo più avanti, a livello primario e strutturale esse svolgono una potente funzione ideologica nelle formazioni sociali agrarie. Facendo apparire ciò che è naturale come culturale, e viceversa, la ritualità invernale delle formazioni sociali agrarie preindustriali lega in modo indissolubile fra i poli entro i quali si svolge la vicenda umana che – come sottolineato a più riprese nell’opera di Claude Lèvi Strauss – devono rimanere allo stesso tempo ben distinti e ben connessi, ad una ‘giusta distanza’ ovvero, che permetta il corretto svolgersi delle vicende umane fra quella Natura e quella Cultura che ne rappresentano le condizioni di esistenza.
Viene oggi difficile comprendere in pieno l’importanza e le implicazioni della dialettica fra Natura e Cultura implicita nelle pratiche del Fasnacht. È quasi impossibile, in particolare, comprendere la portata del drastico cambiamento di dieta fra il Carnevale e la Quaresima, quando digiuno ed astinenza rendevano una dieta già impoverita ancora più frugale. Non per nulla il Combattimento fra Carnevale e Quaresima costituiva uno dei luoghi più frequentati dalla poetica popolare e dei pittori che a quella si rifacevano, illustrazione di quel contrasto fra il Grasso e il Magro, la ‘porcheria’ ed il ‘pesciume’ che, secondo la bella espressione di Gian Paolo Gri rappresenta una delle strutture simboliche costitutive della nostra tradizione culturale’.2
Più in generale, nell’assetto calendariale che – probabilmente attorno alla fine del XIII secolo – stabilizza con un compromesso onorevole gli sforzi delle autorità ecclesiastiche della Chiesa Occidentale di sradicare le pratiche ‘pagane’ legate al ciclo delle Dodici Notti fra il Natale e l’Epifania,3 il passaggio fra Carnevale e Quaresima sottolinea un’ulteriore coniugazione dell’imposizione dell’ordine culturale su quello naturale.
Nell’economia generale dell’annata agraria, il periodo nel quale cade il Carnevale è tempo di magra: era attorno a quella data, solo per fare un esempio, che in Val di Fassa i contadini andavano a controllare la quantità di fieno rimasta per nutrire il bestiame nei restanti mesi della stabulazione. Se la zopa dal fen era regredita oltre il trave che marcava la metà del fienile, allora il pronostico era preoccupante, perché non vi sarebbe stato abbastanza fieno per mantenere le bestie fino alla fine della stabulazione e l’inizio del pascolo estivo. In altre parole: il periodo dell’anno nel quale le formazioni sociali agrarie celebravano l’abbondanza con l’eccesso e lo spreco era, al contrario, il periodo ‘di magra’ per eccellenza. Le provviste stavano per finire, eppure ciò non fungeva da deterrente a dar fondo anche a quel poco rimasto. Non è un caso che sia la salsiccia a fungere da simbolo gastronomico per eccellenza del Carnevale, tanto da far sì che in buona parte dell’area di cultura germanica il Carnevale sia impersonificato proprio da Hans Wurst, quel ‘Gianni Salsiccia’ che nei Carnevali latini corrisponde alle viscere del Carnevale processato e sbudellato che versa dal ventre copiose e grasse salsicce. Perché, dunque, lo spreco in tempi nei quali, al contrario, si imporrebbero sobrietà e risparmio?4
La risposta all’interrogativo è complessa e va condotta a vari livelli. Nell’economia generale dell’annata, la Quaresima proponeva innanzitutto una ‘razionalizzazione culturale’ della crisi dietetica dell’inverno. Ciò che la Natura imponeva nei termini di una scarsità di provviste dovute ad un’economia nella quale l’offerta era cronicamente in difetto rispetto alla domanda veniva appropriato dalla normativa culturale. Alla dura necessità naturale si sovrapponeva così la norma culturale, nei termini di quella razionalizzazione ideologica della quale si è detto sopra: nel pieno dell’inverno si riducono drammaticamente i consumi non perchè non vi sia abbastanza da mangiare (come è in realtà), ma perché occorre prepararsi alla Pasqua con digiuno ed astinenza (come detta la regola culturale). Questa negazione della necessità naturale a favore di un’arbitrarietà culturale va di pari passo con un’altra paradossale corrispondenza che contraddistingue il periodo di Carnevale in contrappunto alle restrizioni quaresimali.
Nelle formazioni sociali agrarie di tutta Europa la celebrazione dei matrimoni corrispondeva al periodo di Carnevale. Anche in questo caso si sfruttano – per così dire – le necessità funzionali e le si razionalizzano con la sovrapposizione di un’arbitrarietà culturale. L’inverno inoltrato è, di tutti i periodi dell’anno, quello più libero dai lavori del ciclo agricolo. Non solo campi ed armenti sono in fase di riposo, ma è anche probabile che il gruppo di lavoro contadino abbia già portato a buon punto i lavori di rassetto dell’attrezzatura ed il rinnovo di quella irreparabile, mentre le donne hanno terminato di filare lana, canapa e lino dell’anno precedente per la vigilia dell’Epifania, quando in tutta l’Europa di cultura germanica Berchta (la Befana Italiana o, in Europa, le numerose varianti locali di Hera-Diana/Erodiana) viene a controllare che il lavoro sia finito. Non per nulla in molte aree d’Europa tutte le date dopo l’Epifania sono buone per dare inizio al periodo di Fasching/Carnevale: la comunità contadina è relativamente libera dai lavori agricoli, e può consumare le ultime riserve di cibo ‘grasso’ – soprattutto quanto rimane del maiale ucciso a Novembre/Dicembre ed ormai stagionato al punto giusto, prima che i tepori primaverili compromettano la qualità delle carni conservate semifresche. Ecco allora che il Carnevale è l’occasione per celebrare i matrimoni. Alla vocazione festiva del periodo, all’abbondanza di cibo ed al simbolismo di abbondanza e di fertilità che lo accompagna, corrisponde poi un altro motivo funzionale che ne fanno il momento ideale della celebrazione del matrimonio: una novella sposa che avesse avuto la fortuna di rimanere incinta subito dopo le nozze (ricordiamo che l’astinenza quaresimale includeva anche i rapporti matrimoniali), avrebbe partorito in Ottobre/Novembre, al termine dunque dei grandi lavori agricoli estivi e con la prospettiva di un periodo relativamente libero da quelli da dedicare allo svezzamento del neonato.
In questo modo il matrimonio diviene metafora di base capace di denotare, per implicazione, la gamma dei simboli agrari e sociologici che sono alla base delle mascherate invernali. Dal livello funzionale a quello simbolico, il matrimonio è ‘buono’ per pensare ed esprimere il passaggio dall’inverno alla primavera, dalla morte alla resurrezione della natura – uomini, piante e animali e dalla carestia all’abbondanza. In tutta Europa – dai Balcani al Portogallo, dal Comelico alla Val di Fassa passando dalla Val di Fiemme per finire a Tramin/Termeno – la Mascherata degli Sposi costituisce uno degli elementi centrali della ritualità invernale. Spesso il modulo drammatico vede gli Sposi guidare un corteo composto da attori mascherati che compiono una selezione di lavori agricoli – e prima fra tutte quell’aratura che è epitome del ciclo agrario contadino. Spesso seguita dalla semina, dall’erpicatura e più raramente dalla rappresentazione della mietitura e della trebbiatura dei cereali, l’intera performance viene eseguita secondo due moduli drammatici, spesso presenti fianco a fianco nello stesso evento rituale.
Ad una ‘modalità etnografica’, secondo la quale il lavoro dei campi viene eseguito a regola d’arte secondo quelle ‘buone maniere’ che spesso divengono addirittura affettate fino all’inverosimile, si contrappone una ‘modalità grottesca’ che mostra i contadini al lavoro secondo modalità caricaturali, ridanciane e sgangherate. La contrapposizione strutturale fra Schiache-e Schöneperchten nelle aree di cultura germanica e quella fra Belli e Brutti nelle aree di cultura latina articola i poli del Carnevale che ha nella continua oscillazione fra la ‘normalità’ e l’inversione sovversiva di questa uno dei suoi punti di forza.5
Quello che viene rappresentato nel rituale dell’Egetmann è un matrimonio, sovversivo dei valori e delle regole che accompagnano il matrimonio in linea con le norme sociali. Qui un vecchio brutto, rugoso e sgangherato sposa una giovane nel fiore degli anni che, al contrario di una vergine di illibati costumi, beve grappa a garganella. L’offerta di matrimonio dell’Egetmann, che viene letta pubblicamente fra le risate del pubblico è parimenti improbabile e dissacratoria, l’esatto contrario dei puntuali, dettagliati e rigorosi contratti nuziali sottoscritti di fronte all’autorità notarile ancora in epoca storica. Quello poi che segue gli sposi è un codazzo rumoroso ed irriverente di personaggi che mimano arti e mestieri della tradizione ed una varietà di personaggi del folclore locale che verranno analizzati nel dettaglio più avanti.
La struttura simbolica di base dell’Egetmann è dunque analoga a quella di un rituale della cultura popolare di tutta Europa noto con il nome di Charivari, il termine-base con il quale viene denotato in area culturale francese. Il termine ha probabilmente origine dal latino caribaria, ‘mal di testa’, allusione sia al baccano di pentole, bidoni e campanacci sia all’eccesso di consumo di alcool che inevitabilmente accompagnavano lo charivari. In area germanica, e particolarmente in Baviera, il termine significa ‘lucente’, ‘scintillante’, e si applica alle decorazioni in argento che accompagnano il costume tradizionale, probabile estensione del clangore di metalli sbattuti propri dello charivari. Ancora per estensione, nel gergo legale inglese il termine designa il vociare discordante di un battibecco fra avversari in un caso controverso.6
Lo charivari è descritto per la prima volta nel Roman de Fauvel, un testo francese deli’inizio del XIV secolo, ricca fonte per le pratiche folcloriche medievali.7 Si tratta, in sostanza, di un rito che denuncia all’intera comunità una trasgressione grave delle regole di buona condotta relativamente ai matrimoni ed alla vita coniugale. Una moglie che picchiasse il marito o un marito che si facesse battere dalla moglie o una coppia che non riuscisse a consumare il matrimonio divenivano oggetto di charivari. Ma il rito era compiuto con un crescente, furioso zelo nel caso di unioni matrimoniali irregolari. Il matrimonio dei vedovi – e si tratta qui principalmente del matrimonio di un vedovo – o, peggio ancora, quello di un vecchio scapolo con una giovane donna – erano impugnati, per così dire, dai giovani scapoli della comunità e fatti oggetto dello charivari. Nottetempo, un corteo mascherato percorreva le vie del paese battendo pentole e bidoni e scuotendo campanacci; cani e gatti venivano tormentati per aumentare lo strepito che raggiungeva il suo culmine una volta che il corteo fosse giunto sotto le finestre dei malcapitati. Canti e lazzi osceni completavano la messinscena, mentre una lista di nefandezze, vere o presunte, tratte dal-la chiacchiera di ogni giorno e attribuite agli sposi, veniva letta tra il ludibrio della folla accorsa allo strepito. A questo punto il malcapitato sposo aveva due opzioni: o scendere a placare gli scalmanati con il pagamento di una somma in denaro od in natura oppure invocare l’intervento dell’autorità – fatto che gli avrebbe senza dubbio fatto pagare uno scotto ancor più alto alla prima occasione di vendetta. Non di rado gli charivari finivano in scontri aperti, con morti e feriti, il chè indusse non di rado le autorità a stabilire per legge la ‘tassa’ che un vedovo doveva pagare ai giovani della comunità in occasione di nuove nozze.
In contesti sociali dove matrimoni ‘irregolari’ dal punto di vista anagrafico erano all’ordine del giorno per l’alto grado di mortalità soprattutto femminile e in occasione del parto, lo charivari veniva a costituire, agli occhi delle autorità, un serio disturbo dell’ordine pubblico. Nei primi anni del 1600 venne proibito dal Concilio di Tours sotto pena di scomunica, ma ancora nel secolo scorso le autorità erano impegnate in una partita peraltro persa a proibire maitinade, beganate, befanate, bosinate, zirudele, tratomarzo e quante altre declinazioni locali dello charivari.8
Negli anni ’80 del secolo scorso lo charivari è stato oggetto di un’importante serie di studi condotti dai maggiori studiosi di cultura popolare in Europa.9 Si deve a Carlo Ginzburg, tuttavia, la messa a punto del quadro analitico che collega lo charivari alle mascherate invernali e – dunque – al Carnevale, fino a farne manifestazioni in una certa misura equivalenti ed intercambiabili.
La tesi di Ginzburg è, in sintesi, la seguente. In epoca medievale – probabilmente attorno al XIIXIII secolo, si coagula e consolida in Europa una serie di miti e pratiche della cultura popolare che vedono i giovani scapoli di una comunità agire mascherati come tutori e sanzionatori dell’ordine della comunità stessa. Gli attori di questo processo trovano legittimità simbolica in quanto portatori della volontà dei Morti, quegli Antenati che – in tutte le culture agrarie – fungono da tutori delle norme del vivere in società. L’idea secondo la quale le maschere altro non sarebbero che ‘i morti che tornano’ a sancire la corretta osservanza delle regole è profondamente radicata negli studi di etnologia europea, anche se spetta a Karl Meuli il merito di averla articolata in senso sistematico.10 Si tratta, come è peraltro il caso di molte ‘credenze’ popolari, di una ‘tradizione’ implicita nella pratica – nell’ortoprassi - più che di una sottoscrizione aperta a consapevole ad una serie di dogmi e proposizioni dell’ortodossia.
A Carlo Ginzburg va il merito di aver specificato il radicamento di questa tradizione nella complessa mitologia della Caccia Selvaggia – la Wilde Jagd del mondo germanico e la Wild Hunt di quello anglofono. È questo un tema mitologico – un mitema in termini tecnici – estremamente complesso che ha a fondamento la nozione secondo la quale, nei giorni del calendario che marcano il passaggio da un anno all’altro (le Calende di Gennaio) o da una stagione all’altra (il Carnevale), le entità del mondo sotterraneo – morti e spiriti – tornano sulla terra per esaminare la corretta condotta dei viventi al fine di assicurare il passaggio dal Vecchio al Nuovo mantenendo la continuità dell’ordine sociale.11 Premi o punizioni sanciscono quella che possiamo chiamare ‘l’ordalia del passaggio’ della quale si fanno carico i giovani. L’insistenza di questi sul corretto svolgersi degli scambi matrimoniali piuttosto che su altri aspetti dell’ordine sociale si spiega con la qualità propria del matrimonio di fungere da metafora di base, sorgente di quella serie di implicazioni simboliche al contorno che abbiamo illustrato nella prima parte di questo contributo.
Come ha sottolineato Lévi Strauss in un saggio ormai classico, i bambini (e, aggiungo io, i giovani scapoli) sono considerati in molti contesti etnologici i portavoce degli antenati perché da questi si sono appena licenziati per venire sulla terra secondo una concezione che vede nei nuovi nati una ‘ripetizione’ (quando non la reincarnazione) degli antenati del gruppo di parentela.12 Ecco allora che i giovani ne vestono i panni morali – per così dire – per divenire giudici ed – eventualmente – carnefici delle violazioni dell’ordine che quelli sanciscono. Se questa è la giustificazione a livello simbolico della famiglia di rappresentazioni mascherate delle quali l’Egetmann è una delle possibili declinazioni nel quadro europeo, al livello sociologico la pratica rituale si spiega con motivazioni concrete che danno a quella supporto e ne costituiscono la base reale.
In una comunità piccola e relativamente isolata la disponibilità di partner matrimoniali è limitata. Se la proliferazione di siti internet e di annunci in tutti i media disponibili per la ricerca di partner matrimoniali (e non) caratterizza l’epoca della comunicazione globale, la situazione all’interno di un gruppo demograficamente poco consistente è ancora più problematica: il numero dei potenziali partner è estremamente ristretto. D’altro canto, in formazioni sociali caratterizzate da una proprietà fondiaria basata sulla famiglia nucleare come unità di produzione e riproduzione primaria, il matrimonio acquista un valore fondamentale nella carriera di un dato individuo. Nelle aree montane come sono quelle del Trentino-Südtirol/Alto Adige, in particolare, lo status di persona sposata è cruciale nel determinare tout-court lo status sociale. La necessità di mantenere basso il livello di pressione demografica nei regimi fondiari a proprietà partibile (cosidetta ‘latina’) delle vallate a parlata neolatina e quella, ad essa funzionalmente complementare, di trasmettere intatta la superficie produttiva del Hof/maso nei regimi di maggiorasco (cosidetti ‘tedeschi’) rende ancor più delicato il regime degli scambi matrimoniali. In entrambe i casi assistiamo ad una escalation della competizione sull’accesso a ‘spose utili’ in situazioni che – si sa – vedranno un alto numero di maschi adulti (molto meno di femmine) restare scapoli nei regimi di partibilità ‘latini’, per accontentarsi dello status di servi agricoli nei regimi ad eredità impartibile – a meno di non scendere nelle città e divenire per lungo tempo garzoni apprendisti prima di accedere, finalmente, al titolo di mastro artigiano.13
Da questo consegue che ogni violazione delle regole che governano il sistema di scambi matrimoniali costituisce una minaccia al perpetuarsi di un ciclo già di per sé in delicato equilibrio fra risorse, chance individuali e disponibilità di spose potenziali. È soprattutto nelle comunità montane che i giovani scapoli si costituiscono in compagnie autocefale – quelle Badie, Abbadie, Società della Bandiera, Jeunesse, Jugendbanden o quant’altro14 che coniugano al dovere di difesa militare della comunità il diritto a pattugliarne, con compiti di polizia ed esattoria, i confini demografici e – primo fra tutti – il regime di scambi matrimoniali. Le innumerevoli estensioni della logica socio-simbolica dello charivari che ancora persistono nella cultura popolare alpina – le varie badia, baschìa, stanga, zendel, stropaia per finire con i vari ‘ratti della sposa’ e ‘tagli della cravatta’ globalizzati che scandiscono rituali di matrimonio ormai alla deriva rispetto alle relative ragioni che li avevano motivati in prima istanza, testimoniano della centralità e dell’importanza delle motivazioni che sono alla radice – anche – dell’Egetmann.
Il nome del personaggio centrale del rituale dell’Egetmann è quello di Egetmannhansl. Il nome Hans/Johannes/Gianni/Giovanni è uno dei più problematici degli studi folclorici in virtù della pressoché sterminata varietà di implicazioni ed agganci mitologici che il nome implica tanto a livello della narrativa popolare quanto a quello della mitologia religiosa preistorica. La letteratura a proposito è ampia e complessa, ma per gli scopi del saggio presente è importante sottolinearne due aspetti: come ‘barbagianni-Zio Giovanni’ (dal tardo latino Barbanus, il ‘barba’, zio, dei dialetti di famiglia veneta) è l’animale notturno che rappresenta l’antenato totemico ed eroe culturale preistorico le vestigia del quale permangono nella stratigrafia semantica del linguaggio contemporaneo.15 In epoca proto-storica il personaggio coagula in quella figura di ‘Giovannino senza paura’, personaggio della narrativa popolare mondiale a metà strada fra il trickster – il Buffone Sacro – e l’Eroe Culturale che darà poi origine alla lunga e complessa discendenza degli Zanni/Pulcinella della Commedia dell’Arte presenti fino a pochi anni orsono nei Carnevali della Val di Fiemme.16 Gli innumerevoli Zanni/Gianni/Hansl/Jack che figurano nel folclore europeo sono in varia misura imparentati con gli esseri del mondo infero che sono – primo fra tutti Arlecchino stesso – connessi alla Caccia Selvaggia e dunque alle schiere dei morti revenants di cui si parlava sopra a proposito delle radici mitologiche delle mascherate invernali.
Dal canto suo, ‘Egetmann’ è l’‘erpicatore’, l’operatore ovvero della fase conclusiva della semina, quando il seme viene ricoperto per metterlo al riparo dagli uccelli e favorire la germinazione. È questo un simbolismo che può leggersi in due sensi, contrari e complementari. Da un lato l’immagine dell’erpice evoca chiare allusioni sessuali così come faceva per analogia, nelle società agrarie, l’intera operazione della semina-aratura. D’altro canto, però, l’erpice è un chè di rozzo, greve ed ingombrante: ‘repega’ – ‘erpice’ – denota in dialetto trentino una ragazzona goffa, tarda ed impacciata. Per analogia, dunque, ‘Egetmann’ potrebbe stare ad indicare uno sposo tanto voglioso quanto inadeguato allo scopo – un’obiettivo ideale, dunque, di quel matrimonio ‘storto’ che è compito della cerimonia fare occasione di denuncia ed espiazione dei peccati della comunità intera.
Attorno all’evento centrale del matrimonio che delinque le regole del vivere secondo cultura si organizza, allora, una rappresentazione del cosmo secondo quelle regole del ‘mondo alla rovescia’ che costituisce il motivo organizzatore del Carnevale. Altro potente motore dell’immaginario popolare occidentale, il tema del mondo alla rovescia accompagna i rivolgimenti del ciclo annuale nei quali i mondi dell’Aldiqua e dell’Aldilà per un momento si toccano per poi riprendere le distanze rispettive nel proseguimento della vita di tutti i giorni.17 Ecco allora che la figura dello Zingaro e del Wilder Mann, lo Schnappvieh e il Wudele e chi più ne ha più ne metta, prendono forma dall’immaginario popolare e valicano i confini dei mondi per partecipare a quella sorta di giudizio universale rappresentato dal Carnevale. La catarsi ha il suo culmine al momento della lettura dei protocolli, durante i quali i peccati della comunità vengono messi in piazza, esorcizzati attraverso la loro messa in ridicolo e condannati coram populo, secondo un modulo caro alla cultura popolare di tutta Europa.18
La prima attestazione dell’Egetmann nell’area culturale della Bassa Atesina risale al 1591, quando pare essere stato diffuso in una pluralità di paesi. Come abbiamo visto, però, i paradigmi ai quali è possibile ricondurne il simbolismo e la struttura drammatica di base affondano le loro radici in un sostrato di cultura popolare tanto più solido quanto più organizzato attorno a pochi, essenziali simboli-chiave attivati secondo quella che potremmo chiamare, parafrasando Emile Durkheim, una ‘forma elementare dell’espressione drammatica’: il processo e la condanna di uno dei crimini fondamentali contro la corretta relazione fra Natura e Cultura – il matrimonio fra un vecchio impotente ed una giovane ubriacona.
Dal punto di vista storico, le maschere del ‘doppio in uno’ che ripropongono il tema del mondo alla rovescia – come la donna che porta il marito nella gerla o la vecchia che trasporta il giovane coscritto alla visita di leva nel cestone – hanno riscontri nel Carnevale di Norimberga del Cinquecento, così come le prime rappresentazioni del Wilder Mann.19 Lo stesso tema del Mondo alla Rovescia articolato in quel Mulino che trasforma vecchie male in arnese in belle giovinette è attestato in area francese già nel XVII secolo, anche se come mitema della cultura popolare europea è sicuramente altrettanto antico come la Fontana della Giovinezza.20
Oggi l’Egetmann di Tramin/Termeno fa parte di quel patrimonio di ritualità identitaria che, nell’epoca della globalizzazione, ha visto il revival della cultura popolare in tutta Europa. Frutto della crisi post-Sessantotto, sostenuta dal turismo da un lato e da forti spinte localistiche dall’altro, la ritualità popolare gode di una nuova stagione di fioritura e partecipazione.21 Quella che è stata designata col termine fortunato di ‘invenzione della tradizione’22 vede salire alla ribalta della costruzione delle identità locali da un lato l’invenzione – nel senso latino di invenire, ‘trovare’ – delle pratiche del passato come ciò che vi è di non assimilabile in quanto storicamente non assimilato alla cultura globale, mentre dall’altro lato si rende disponibile a quell’invenzione costituita dagli apporti creativi individuali che costruiscono un momento di vera communitas nell’anonimato della vita associata contemporanea. Nel caso di Tramin/Termeno vi è poi il motivo aggiunto del fatto che il territorio è zona di frontiera in una regione fortemente connotata – per le note vicende storiche – in senso culturale ed etno-linguistico.
Qui più che altrove, allora, convivono e si confrontano quelle spinte al progresso ed alla nostalgia che contraddistinguono, agli occhi degli antropologi più attenti, le comunità alpine più sensibili al proprio passato.23 Le stesse ragioni che fanno dell’Egetmann un efficace, potente simbolo di continuità col passato e di identità per il futuro, vigile e fedele genius loci per tutte le stagioni.
Prof. Cesare Poppi
1 Preferisco l’espressione ‘mascherate invernali’ a quella più specifica di Fasnacht
o Carnevale (e derivati) più appropriata al caso specifico del Carnevale di Tramin in quanto l’area comparativo dell’Europa Orientale di ambito slavo ha mantenuto (a vario titolo e con le dovute differenze) il carattere originario del
nostro Carnevale come rito di passaggio calendariale fra l’anno vecchio e l’anno
nuovo, e dunque il suo posizionamento alle calende di Gennaio di contro allo
spostamento delle mascherate invernali a ridosso della Quaresima che è stato
il risultato di compromesso finale, in epoca medievale, delle politiche culturali ecclesiastiche volte ad estirpare (o comunque a dotare di senso ‘cristiano’) le
preesistenti pratiche ‘pagane’.
2 Gri 2007: 134.
3 Sulle vicende storiche del posizionamento del Carnevale nel ciclo calendariale attuale, nonché sull’etimologia di Fasnacht/Carnevale e le relative varianti, cfr. Poppi 1996.
4 Di quanto il paradosso dello ‘spreco in tempi di magra’ sia un potente modello per l’affermazione di determinati valori culturali inscenati nei rituali invernali è testimonianza la sua presenza largamente attestata in termini comparativi. Presso i Kwakiutl e molti altri gruppi etnici della Costa Nordoccidentale degli Stati Uniti l’inverno – particolarmente rigido a quelle latitudini – è il periodo nel quale i clan aspiranti allo status aristocratico indicono feste contraddistinte da eccessi alimentari a base di grasso di salmone, cibo prediletto dalle forti connotazioni simboliche. Il gruppo che aspira ad entrare nell’elite tribale indice banchetti nei quali si consumano vaste quantità di grasso liquefatto. È significativo il fatto che questo venga servito in grandi catini lignei scolpiti nella forma dell’essere mitico Dzonokwa. Dzonokwa – la Sasquatch dei dialetti algonchini – è la personificazione della fame incontenibile che caratterizzava i periodi invernali. Considerata una sorta di orco cannibale, Dzonokwa si diceva possedesse le sue vittime facendole impazzire dalla fame al punto che da azzannare vicini e congiunti prima di fuggire e scomparire per sempre nella foresta gelata. Si ritiene che sia da tali miti indigeni che sia nato il folclore del Bigfoot, lo Yeti delle Montagne Rocciose.
5 Per una discussione della diffusione della contrapposizione Schiache/Schöne e Belli/Brutti nei Carnevali Europei cfr. Morelli e Poppi 1998.
6 cfr. Davis 1975.
7 cfr. du Bus e de Pestain 1998.
8 Sulla persistenza del Tratomarzo e forme rituali analoghe in Trentino cfr. Morelli e Poppi 1998; per gli aspetti storici della proibizione dello charivari cfr. Mitterauer 1992.
9 cfr. Le Goff e Schmitt (eds.) 1981.
10 cfr. Meuli, s.d. ma 1942? 11 La letteratura sul tema è vasta e complessa. Per una visione sistematica cfr.
Ginzburg 1989; per una visione sintetica cfr. Poppi 2000.
12 cfr. Lévi Strauss 1967, ‘Babbo Natale Suppliziato’.
13 Sulle dinamiche fra demografia, regimi fondiari e regimi matrimoniali cfr. Viazzo 1990 e, più specificamente per l’area dolomitica centrale, Poppi 2006.
14 cfr. Mitterauer, cit.
15 cfr. Alinei 1984. ‘Barbagianni ‘zio Giovanni’e altri animali-parenti: origine totemica degli zoonimi parentelari’.
16 Sulla storia dello Zanni cfr. Mignatti 2007. Sulla presenza dello Zanni nel Carnevale fiammazzo cfr. Baiocco 1995.
17 Sulla mitologia popolare del Mondo alla Rovescia cfr. Cocchiara 1981. 18 cfr. ad esempio Castelli 1999. 19 cfr. Sumberg 1941. 20 vedi Poppi 1994, illustrazione a pag. 147.
21 cfr. Boissevain (ed.) 1992; Poppi 2006. 22 cfr. Hobsbawm and Ranger (eds.).
23 cfr. Bendix 1985.